Dall’abito al dipinto
Il museo
Gli abiti tradizionali, oggi sfoggiati in occasione di feste e ricorrenze religiose ma un tempo indossati quotidianamente, custodiscono una delle principali espressione dell’identità sarda.
A Nuoro il Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde e a Sassari il Museo nazionale archeologico ed etnografico “Giovanni Antonio Sanna”, custodiscono una delle principali espressione dell’identità sarda: gli abiti tradizionali.
Oggi sfoggiati in occasione di feste, cerimonie e ricorrenze religiose locali ma un tempo indossati quotidianamente, le cuffie, gli scialli, i corsetti e le gonne con colori, trame e variazioni locali contribuivano a definire mestieri, stato sociale e provenienza geografica dei propri indossatori.
La tessitura e le sue tecniche hanno costituito uno degli aspetti più riconoscibili dell’identità sarda e a partire dai primi anni del ‘900 il rapporto fra arte e suggestione popolare diede vita a splendidi esiti artistici.
Federico Melis, fra il 1927 e il 1931 si dedicò ad una produzione d’autore che, oltre a coniugare riproduzione seriale ed artigianato, arricchì la raffigurazione identitaria sarda rappresentando sulla ceramica usi e costumi locali.
Negli stessi anni, la ricchezza cromatica e la rigorosa geometria degli abiti tradizionali isolani, ispirò anche il campo della grafica e della pittura: nei quadri e nelle sue illustrazioni di Giuseppe Biasi sono immortalate scene di vita campestre che evocano episodi fiabeschi e onirici con uno stile semplice ed essenziale.
Filippo Figari ha ritratto in piccoli oli o grandi cicli murari personaggi, nature morte e paesaggi che esaltano l’isola nella sua originalità etnografica: le sue donne sono spesso rappresentate in abiti tradizionali, come la serie dedicata ad Atzara, mentre le Raccoglitrici di olive di Giovanni Ciusa Romagna intente in attività di vita rurale, con tecniche e pennellate di colore che rievocano quelle dei macchiaioli.
Anche l’artista sassarese Eugenio Tavolara si impegnò in un’originale raffigurazione e produzione di figure tradizionali intagliando nel legno pupazzi e “sculture da tavolo” in legno arricchiti da stoffe e tessuti ed introducendo L’artigianato sardo nella casa moderna, come intitolava la mostra allestita nel 1958.
Oggi la derivazione cubista delle opere di Tavolara è riconoscibile nel muralismo di Orgosolo, il “paese dei Murales” grazie alle oltre 100 opere presenti e articolate in un racconto diffuso che dona al paese il caratteristico aspetto di Museo a cielo aperto.
Nato inizialmente come espressione di protesta e dissenso contro il potere e le ingiustizie sociali, il murales è diventato a San Sperate, Villamar, Tinnura, Serramanna e molte altre località sarde uno strumento di raffigurazione della cultura e dell’identità tanto quanto le opere realizzate con tecniche più tradizionali come la pittura su tela e la scultura.
I volti e le figure di Pina Monne e Angelo Pilloni raccontano il passato ed il presente dell’Isola e i murales di Tellas, che ritraggono elementi naturali e paesaggi marini, hanno oltrepassato i confini nazionali, rendendolo uno degli artisti italiani di arte urbana più apprezzato a livello internazionale.